Melune de fuèche

Benefits-of-Watermelon-for-Stomach-Acid-and-Cancer“Melune de fuèche” gridavano una volta per le strade di Bari i venditori ambulanti di angurie con riferimento alla rossa polpa del frutto.

In ” Grazie a te ” il poeta turco Nazim Ikmet, manifestando un’insopprimibile gioia per essere innamorato, e corrisposto, paragona la vita ad una fetta d’anguria . A un sorriso.

L’anguria (o cocomero) con la sua paciosa rotondità, l’allegro verde della buccia, il profumo intrigante, così rosso con quell’occhieggiare di semi neri, è un piacere per la vista e il palato tanto che viene sempre voglia di prenderla a morsi. Subito

E’ per eccellenza il frutto dell’estate.

A tanta bellezza e appetibilità non corrisponde altrettanta sostanza nutritiva : l’anguria è acqua , solo acqua dolce, il 95,3 % del peso. Il resto è diviso in zuccheri e glicidi.

E’ come una donna bellissima ma oca.

Gli inglesi chiamano il frutto “water mellon”, melone d’acqua. Il termine scientifico della cucurbitacea (appartiene a questa famiglia botanica), è “Citrullus lanatus” o “Citrullus vulgaris”: in ogni caso citrullo. Come si dice a chi è privo d’interessi ed è poco sveglio.

E’ un frutto che tutti amiamo perché è dissetante ed ha quel sapore tutto suo grazie alle sostanze aromatiche che mamma natura ha infuso nel suo citrullo. E piace alle donne perché anche se mangiata in abbondanza l’anguria non fa ingrassare. C’è chi consiglia a quanti vogliono mantenere la linea, di affidarsi tranquillamente ai cocomeri. Basta mangiarne prima di pranzo, così lo stomaco si riempie, l’appetito si smorza e si può star sicuri di aver ingerito soltanto poche calorie.

L’anguria, però, non vuole troppo filosofare vuole essere addentata, gustata e via; magari facendo pure qualche rumore e lasciandosi inzaccherare guance e mani dal succo.

Gloria al frutto principe dell’estate anche per i ricordi che suscita: le cocomerate in riva al mare, il primo bacio al sapore di anguria, l’uscita di caserma ed il cocomeraio lì pronto con le sue fette tenute in fresco sulle barre di ghiaccio, le battaglie con le scorze.

La scelta dell’anguria è un rito. Udito e grande esperienza sono indispensabili per riconoscere quando il frutto è pronto per la consumazione. Il “Citrullus” va tenuto su una mano, cosa piuttosto complessa per quelli di dieci chili e passa, mentre con l’altra la si percuote in più punti. Se il suono che ne deriva è vibrante, ma non troppo, se è cupo ma non troppo, quell’anguria è buona. Poi c’è il metodo della prova: nel cocomero si apre una finestrella, si estrae un tassello e a questo punto dare un giudizio è cosa facile. Importante è anche osservare il picciolo che deve essere secco e staccarsi facilmente perché se è troppo verde, vuole dire che l’anguria è stata raccolta da pochi giorni e non può essere matura. C’è poi chi ricorre al metodo della moglie incinta con la voglia di anguria. Neppure il più spregiudicato cocomeraio sarebbe capace di rifilare a un futuro padre un cattivo frutto per la moglie in attesa di un pargolo che altrimenti potrebbe nascere con una voglia di cocomero sul culetto.

Ma spesso, nonostante le dovute attenzioni, ci si porta a casa un “caresidd”, un cetriolo insipido e non resta che consolarsi con un: “Se il mellone è uscito bianco, nè con chi tà vo’ pigghia?”.

Onori e meriti anche ad un altro tipo di melone, il “cucumis melo”, o popone. E’ giallo o verde pallido , oppure presenta sulla buccia un fitto reticolo, é questo il ” cucumis reticulatus”, detto anche “del pane”. Hanno un profumo delicatissimo e per riconoscere se sono maturi basta tastare il punto di attacco del picciolo e se è abbastanza morbida sono pronti per il consumo.

C’è poi un altro popone detto ” d’inverno ” , lo si raccoglie in questi giorni lo si mangia a Natale , quando ha raggiunto la maturazione perfetta a patto che lo si tenga in luoghi ben aerati e ombreggiati. Una volta i contadini li tenevano sotto il letto, oppure appesi in una rete di fibre vegetali alle travi del tetto. Una varietà meridionale di questa melone è quella detta “regnuse”, per via della buccia tutta rughe come il volto di un vecchio pellerossa .

I primi meloni e angurie ebbero culla, probabilmente in Asia o in Africa tropicale, or sono migliaia di anni fa. Si sa di certo che gli Egizi già li conoscevano e apprezzavano. I Greci e i Romani li coltivavano. In un “Erbario” del 1597 attribuito al Gérard sono descritte le più note varietà di meloni .

Luigi Sada , studioso di storia della cucina e delle tradizioni pugliesi , ricorda che Vincenzo Corrado, nato a Oria alla fine del Settecento e ritenuto uno dei padri della cucina internazionale, annotò di un piatto detto “Stozzetto” a base di popone a tocchetti, brodo di manzo, guarnito con prosciutto e condito con formaggio e tuorli d’uovo. Questa pietanza si offriva ai pellegrini e ai crociati in partenza dai porti pugliesi per la Terra Santa.

Le regioni italiane leader della produzione di cucurbitacee e meloni sono nell’ordine la Sicilia, la Sardegna, la Puglia, la Campania, la Romagna, il Veneto e la Lombardia. Rinomate sono le angurie di Brindisi, ma anche quelle di Lecce, non scherzano. Israele ci fa una consistente concorrenza.

Dice un cocomeraio di Bari: “Le prime angurie ad arrivare sulle bancarelle sono le israeliane poi quelle di Lecce, quelle di Brindisi e infine le ferraresi, ma noi diciamo che tutte vengono da Brindisi… insomma non c’è mai penuria d’anguria”.

Quando a fine settembre, vento e prime piogge cancellano la voglia di anguria e melone, e quando l’ultima bancarella è smontata, è segno che l’inverno è alle porte. Fino a Natale, quando sarà pronto il melone d’inverno.

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